Voci dal 1972: il terremoto di Ancona tra immagini e poesie

Voci dal 1972: il terremoto di Ancona tra immagini e poesie. In questi giorni un po’ sospesi, durante i quali la città di Ancona torna a confrontarsi con lo spauracchio del terremoto, è inevitabile che i meno giovani corrano con la mente al 1972, anno fortemente segnato da una crisi sismica che per lunghi mesi attanagliò il capoluogo marchigiano. Chi ebbe modo di vivere quell’esperienza ricorda nei minimi dettagli lo snervante confronto quotidiano con il terremoto, la paura delle scosse più forti, le tende disseminate in più e più luoghi ad accogliere le tante persone rimaste prive della loro abitazione. Chiunque abbia vissuto il terremoto del ’72 ricorda nei particolari cosa stesse facendo nell’esatto momento in cui, erano le 21 e 25 di un freddo 25 gennaio, una scossa del settimo grado della scala Mercalli colpì la città inaugurando la lunga crisi che si concluse molti mesi dopo, non prima di aver raggiunto il suo apice la sera del 14 giugno quando una scossa ancor più forte di quella iniziale sferrò nei confronti dell’intera città un colpo dalla violenza inaudita. Sono molte le testimonianze di quell’epoca. L’amico Sauro Marini, autore dello storico sito internet anconanostra.com, ci ha giusto oggi omaggiati di una sua foto. Ritrae lo stadio Dorico trasformato in tendopoli, ad accogliere gli anconetani costretti a lasciare le loro case. È una foto che, pur non troppo definita, porta con sé l’impronta della storia, la testimonianza di un periodo e di un’esperienza che hanno segnato indelebilmente l’animo e la tempra dell’intera città. Per sua gentile concessione ve la riproponiamo di seguito. Cliccandoci sopra si ingrandisce un po’.

 

 

Nella circostanza Sauro ci segnala una poesia dell’epoca, scritta tra una scossa e l’altra dal fotoamatore Flaviano Fava. Si intitola La Tera mia. C’è, nella poesia di Fava, tutto lo smarrimento, tutta la frustrazione, tutto il senso di impotenza che il sisma dell’epoca instillò negli anconetani, innamorati della loro città che, in quel momento, sembrava essersi trasformata in un implacabile nemico. Ecco la poesia:

La Tera mia
di Flaviano Fava

“Trema, trema un’altra volta …
‘sta tera in do’ semo nati ce vole fa’ muri’”

È stata sempre bela, cara, dolce …
invece adesso, s’è stufata de njaltri !
È cume se vulesse di qualcosa,
qualcosa che je viene dal de dentro.

… brontula, zompa, sgrula … e po’ zita, … e po’ bona.
Nun sai cusa vole … te vole fa ‘mpazzì !
Quantu pare che tuto e fenito … ariecula …
senti el boto che viene dal mare e tuto vibra,
tuto salta, bala, dindula e senti i muri a scrichiulà.
Dentro te guanta un folpo, te strigne tuto,
te ciucia e te strizza cume un limò,
mentre j occhi te vienene de fora.
E te cusa fai? Gnente!! Zompi, bali e vibri insieme a Lia!
Insieme a sta tera nostra che je vulemo bè.

Se ce fosse ‘na cura je la faremo,
ma nun c’è gnente da fa…
… Lia trema
… trema e po’ se riposa
… trema
… trema e po’ smete
… trema e t’averte:

“Va via… va via…. va via!!”

Te fugi, fugi luntano e pensi a Lia.
E quando tuto tace … Ritorni … Stai un po’
E… eca la bota , eco el sgrulo’!!

“Cusa ciavrà sta tera mia per esse cuscì,
per esse cuscì cativa”

 

 

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